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Cambio destinazione d’uso con opere e senza opere: tempi, costi e procedura

9 Settembre 2020Davide Gulino
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Oggi ci occupiamo di uno dei problemi più comuni che riguardano le proprietà immobiliari, ovvero il cambio di destinazione d’uso.

Ne parleremo in dettaglio, per fornirti una guida completa a questo tipo di operazioni, con o senza opere, parlando anche delle tempistiche, dei costi e delle procedure richieste.

Cosa si intende per destinazione d’uso

Cosa si intende per destinazione d’uso

Per destinazione d’uso s’intende l’insieme dei modi e delle finalità a cui è destinato l’utilizzo di un manufatto, un’opera, di un suolo oppure la costruzione di edifici o di un bene naturalistico.

Dal punto di vista giuridico, la destinazione d’uso è quella funzione che gli strumenti urbanistici, in base a quanto previsto dalla legge, attribuiscono alle parti del territorio comunale.

Con il cambio di destinazione si fa riferimento invece alla procedura attraverso la quale l’utilizzo, cui è destinato una determinata unità immobiliare o un determinato ufficio, viene a modificarsi. Le principali categorie di destinazione d’uso sono:

  • commerciale;
  • residenziale;
  • industriale.

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile perciò altro non è che un mutamento della destinazione urbanistica riportata all’interno  dei  titoli  abilitativi che hanno accompagnato la realizzazione dell’immobile stesso.

Perciò, se lo spazio del proprio immobile viene utilizzato diversamente rispetto a quanto riportato dai titoli abilitativi e quindi si sta svolgendo una funzione diversa rispetto alla destinazione d’uso, si sta compiendo un illecito oppure un abuso edilizio, poiché, appunto, l’utilizzo è difforme da quanto previsto dal titolo.

Ma cosa sono i titoli abilitativi? Sono quei documenti che attestano l’avvenuta autorizzazione, da parte dell’Ente preposto alla vigilanza, ad attuare una serie di interventi nei tempi e con le modalità previste proprio dal titolo abilitativo stesso.

Cambio destinazione d’uso e la disciplina normativa inerente

Cambio destinazione d’uso e la disciplina normativa inerente

La disciplina del cambio di destinazione uso, con o senza opere, è sempre stata caratterizzata da incertezze nate dal fatto che ogni regione ha proprie discipline e diverse regole locali contenute negli strumenti urbanistici comunali.

Infatti, prima della riforma del 2014 contenuta nel decreto legge chiamato  sblocca Italia, la disciplina dei cambi d’uso erano trattati in due articoli:

  • l’articolo 10, comma 2, secondo cui è alle Regioni che spetta stabilire quali cambiamenti della destinazione d’uso, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, sono subordinati alla richiesta delle SCIA, segnalazione certificata di inizio attività o al Pdc, permesso di costruire;
  • l’articolo 32, comma 1 lett. a), in virtù del quale è considerata variazione essenziale al progetto approvato, il mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale del 2 aprile 1968 n. 1444.

Con la legge numero 164/2014 contenuta nel decreto sblocca Italia si è voluto invece uniformare le differenti normative regionali e semplificare l’applicazione della disciplina.

Infatti la nuova disposizione statale sui cambi d’uso è stata emanata come norma di semplificazione e liberalizzazione volendo assicurare su tutto il territorio nazionale, gli stessi livelli di prestazione dei diritti civili e sociali.

La legge ha introdotto l’articolo 23-ter che si divide in tre commi.

Primo comma

Il primo comma spiega che cosa si intende per mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.

Lo intende, come ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporta il passaggio ad una diversa  categoria di funzioni che possono essere:

  • residenziale;
  • produttiva e direzionale;
  • turistico-ricettiva;
  • rurale;
  • commerciale.

Dunque, in base a quanto previsto dall’articolo,  il mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante è solo quello che porta al passaggio di una di queste cinque categorie, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere.

Invece, se il mutamento avviene all’interno di una stessa categoria, le destinazioni d’uso sono ritenute urbanisticamente omogenee, dal momento che i carichi urbanistici sono considerati equivalenti.

Il potere che è rimasto ai comuni è solo quello di poter dettagliare le tipologie delle destinazioni d’uso degli immobili all’interno di una stessa categoria di funzioni, ma senza modificare le categorie stesse che possono essere solo quelle cinque.

Secondo comma

Il secondo comma, invece, ci spiega come funziona il criterio per l’attribuzione della destinazione d’uso stabilendo che la destinazione d’uso di un fabbricato o di unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

Questo vuol dire che in presenza di una destinazione mista nell’ambito di uno stesso fabbricato o di una unità immobiliare, la destinazione d’uso è quella che risulta maggiore in termini di quantità di superficie utile, ossia quella equivalente ad almeno il 50,1 per cento.

Questo vuol dire che solo la parte maggiore presa in considerazione dovrà essere autorizzata dal titolo abilitativo e, di conseguenza, la parte restante del fabbricato o dell’unità immobiliare potrà avere una destinazione diversa senza che ciò abbia rilievo ai fini della legge.

Perciò, Il criterio della prevalenza, permette che diversi utilizzi possano convivere nel medesimo immobile facendo dipendere  solo alla parte maggiore, in termini di superficie, la qualificazione di destinazione d’uso.

Terzo comma

Il terzo comma stabilisce che le regioni avranno 90 giorni per adattare la propria legislazione alla disciplina fin ora spiegata, Decorso quel termine l’articolo 23-ter avrà diretta applicazione.

Questo vuol dire che ad ora la legge ha già diretta applicazione dal momento che è stata emanata nel 2014.

Titoli abilitativi da utilizzare nel caso cambio di destinazione d’uso

Titoli abilitativi da utilizzare nel caso cambio di destinazione d’uso

Il cambiamento della destinazione d’uso di un immobile, indipendentemente dal fatto che questo sia rilevante urbanisticamente o meno, in base a quanto è stato detto precedentemente, può essere realizzato con o senza l’esecuzione di interventi edilizi.

Ma in caso di interventi edilizi è previsto che, per quanto riguarda il mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente non rilevante tali interventi siano soggetti a titolo abilitativo. Ciò perchè  l’intervento è realizzato tra le stesse categorie urbanistiche, considerate quindi omogenee.

Inizialmente il Testo Unico dell’Edilizia prevedeva che, anche se di modesta entità, l’esecuzione dei lavori portavano pur sempre alla creazione di un sistema edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Di conseguenza era necessario il rilascio del permesso di costruire oppure  di una segnalazione certificata di inizio attività sostitutiva del permesso di costruire, dovendo pagare un contributo per la diversa destinazione.

Nel 2017 però sono state apportate delle modifiche al testo unico sull’edilizia. Queste hanno previsto che se gli interventi edilizi di restauro e di risanamento conservativo, sono rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio oggetto di intervento, questi interventi possono essere realizzati anche solo tramite:

  • CILA, comunicazione di inizio lavori asseverata se non riguardano parti strutturali dell’edificio;
  • SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, negli altri casi. Nel caso in cui invece il cambio di destinazione d’uso si realizza tramite un intervento di ristrutturazione edilizia, arrivando così ad avere un sistema edilizio diverso, questo sarà soggetto:
  • SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, qualora non comporti modifiche in senso di volumi nel complesso degli edifici o dei prospetti;

al Pdc, permesso di costruzione, o alla presentazione di una SCIA sostitutiva del permesso di costruire negli altri casi.

Procedimento e tempi inerenti i titoli abilitativi

Procedimento e tempi inerenti i titoli abilitativi

Vediamo nel dettaglio l’iter e le procedure da seguire.

SCIA

Iniziamo a spiegare come richiedere,quanto ci vuole e gli eventuali costi da supportare per ottenere i titoli abilitativi. La SCIA com’è stato più volte detto è la segnalazione certificata di inizio attività.

Si tratta semplicemente di una comunicazione con la quale si avvisa l’amministrazione comunale della durata, della conformità legale e su chi esegue, determinati lavori.

A seguito della presentazione è possibile iniziare i lavori senza la preventiva autorizzazione del Comune, anche se questo potrà, entro 30 giorni, controllare che ci siano tutti i requisiti del caso ed eventualmente, in assenza, vietare la prosecuzione dell’attività oppure potrà chiedere all’interessato di conformare l’attività alle normative.

C’è da precisare che la SCIA non sostituisce gli atti previsti in caso di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali perciò, prima di dare inizio ai lavori occorre ottenere il nulla osta dagli organi preposti.

All’atto pratico, la Scia deve essere presentata presso lo sportello unico dell’edilizia del Comune ove si trova l’immobile, corredata dai documenti redatti dai tecnici abilitati, che attestino la sussistenza dei requisiti e certifichino la conformità dei lavori da eseguire con le normative nazionali e locali.

Inoltre, a seguito della presentazione della SCIA deve essere rilasciata una ricevuta che vale come comunicazione di avvio del procedimento e come certificazione della data dalla quale partono i vari termini.

Pdc

Il permesso di costruire viene rilasciato a seguito della presentazione della domanda allo sportello unico dell’edilizia del Comune dove si trova l’immobile oggetto di intervento.

Ci saranno degli allegati da unire alla domanda, vale a dire i progetti richiesti dal regolamento edilizio ed una dichiarazione del progettista che vada a certificare la conformità del progetto alle norme locali e nazionali. Il permesso contiene:

  • il termine di inizio dei lavori che non può essere superiore ad un anno dal rilascio del permesso;
  • il termine di conclusione dei lavori che non può essere superiore a tre anni dall’inizio dei lavori. Eventualmente è prevista una proroga che dovrà essere motivata.

Inoltre Il rilascio del permesso, comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione e di un contributo di costruzione pari ad una frazione del costo di costruzione.

CILA

La CILA, comunicazione di inizio lavori asseverata, va presentata allo sportello unico dell’edilizia del Comune dallo stesso proprietario, o un suo delegato anche se ultimamente i Comuni stanno dando la possibilità, attraverso sistemi informatici, di inviare la CILA direttamente online.

La CILA deve assolutamente contenere una relazione tecnica asseverata da parte di un tecnico appunto. Questo deve essere un libero professionista come ad esempio un architetto, un geometra, un perito industriale o  un ingegnere, iscritto al rispettivo albo professionale che abbia una partita IVA.

La domanda non prevede pagamenti di oneri concessori in quanto semplice comunicazione, ma va considerata la parcella del tecnico e la mancata presentazione, causa una sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro.

Cambio destinazione d’uso: le conclusioni

Abbiamo visto insieme qual è la procedura da seguire per cambiare destinazione d’uso ad un immobile: può sembrare una procedura complessa, tuttavia è bene seguire ogni passaggio meticolosamente onde evitare di incappare in qualche sanzione.

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