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Condono edilizio: la richiesta di sanatoria non autorizza a trasformare o completare l’immobile

9 Giugno 2020Davide Gulino
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La presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta

Il condono edilizio non legittima la nuova attività edilizia

Il condono edilizio non legittima la nuova attività edilizia

La preesistenza di una domanda di condono edilizio non può essere utilizzata per legittimare attività edilizia nuova ed ulteriore rispetto a quella oggetto di richiesta di sanatoria.

E’ uno degli importanti chiarimenti contenuti nella sentenza 2062/2020 dello scorso 28 maggio del Tar Napoli, che ha respinto il ricorso di un privato contro il comune che aveva respinto due istanze di condono e ordinato la demolizione delle opere realizzate senza titolo.

Il comune, nell’emettere la disposizione dirigenziale, ha richiamato l’art. 33 della legge 47/1985, sanzionando con il diniego le domande presentate sulla base di una presunta inedificabilità assoluta senza considerare che la ricorrente ha realizzato gli interventi ben prima dell’imposizione dei vincoli, con la diretta e chiara conseguenza che essi non posso essere applicati retroattivamente agli abusi in esame risultando così applicabile l’art. 32, comma 1 Legge n. 47/85, che subordina il rilascio della concessione edilizia in sanatoria su aree sottoposte al vincolo, al parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.

Gli interventi su manufatti abusivi (in attesa di sanatoria) sono a loro volta illegali

Gli interventi su manufatti abusivi (in attesa di sanatoria) sono a loro volta illegali

La giurisprudenza – osserva il Tar – ha costantemente statuito che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili nella loro oggettività alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35, l. 47/1985 ( TAR Campania, sez. III, 17/12/2019 n. 5996; 12/7/2019 n. 3858).

Conclusioni

  • la preesistenza di una domanda di condono non può essere utilizzata per legittimare attività edilizia nuova ed ulteriore rispetto a quella oggetto di richiesta di sanatoria;
  • la presentazione della domanda di condono edilizio non autorizza certamente l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 614). Qualora ciò dovesse accadere, il Comune non può pronunciarsi sulla domanda di condono ma è tenuto a sanzionare le opere con l’ordinanza di demolizione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3943);
  • sui manufatti non condonati non è comunque consentita la realizzazione di interventi ulteriori che, finanche nelle ipotesi in cui siano riconducibili nella loro individuale oggettività a categorie che non richiedono il permesso di costruire, assumono le caratteristiche di illiceità dell’abuso principale. Infatti, l’art. 35, comma 14, della legge 47/1985, regolante le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al presentatore dell’istanza di sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità, le opere abusive oggetto della domanda, dimostra semmai che, in linea di principio, è tassativamente impedita la prosecuzione dei lavori e la modificazione dello stato dei luoghi, se non con l’osservanza delle cautele previste dalla legge, alle quali non risulta che la ricorrente si sia conformato;
  • riguardo la sussistenza dei vincoli che secondo le argomentazioni della ricorrente non sarebbero assoluti in quanto imposti successivamente alla realizzazione delle opere, come argomentato dall’amministrazione comunale, la giurisprudenza, “In relazione alla disciplina del condono edilizio della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e delle connesse questioni (poste dall’art. 33) relative ai procedimenti di condono riguardanti territori con vincoli di inedificabilità relativa, si deve avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, secondo il principio tempus regit actum; quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, se è vero che alla stregua dell’art. 33, l. n. 47/1985 cit. il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali, pertanto, fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa); pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell’art. 32, comma 1, l. n. 47/1985 cit., che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo” (Consiglio di Stato, sez. VI, 12/11/2014, n. 5549; nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 21/07/2017, n. 3603).
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