Edilizia residenziale: cosa si intende con il termine e quali tipologie edilizie ne sono comprese.
Dal 1989 i progetti per l’edilizia abitativa privata in Italia devono essere rispondenti alla normativa per il superamento delle barriere architettoniche.
E’ dal 2016, infatti, è entrata in vigore la legge 13 e il suo decreto attuativo, il DM 236. Ma se da un lato la legge non richiede la piena accessibilità per questo tipo di progetti, eccezion fatta per il 5% di alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata, dall’altro richiede espressamente la visitabilità e/o l’adattabilità a seconda della tipologia abitativa e a seconda che si tratti di parti comuni o unità residenziali.
Vediamo allora in che consistono questi tre requisiti e cosa è richiesto a seconda delle tipologie edilizie.
La norma considera dunque tre livelli di qualità dello spazio costruito.
“L’accessibilità esprime il più alto livello in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato.
La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.
La adattabilità rappresenta un livello ridotto di qualità, potenzialmente suscettibile, per originaria previsione progettuale, di trasformazione in livello di accessibilità; l’adattabilità è, pertanto, un’accessibilità differita.” (Art. 3, DM 236/89).
Ma per sapere a quali requisiti le diverse tipologie di edilizia residenziale siano tenute a rispondere bisogna riferirsi all’Allegato A dell’Art. 3 – Criteri generali di progettazione, del DM 236/89.
Sulla base di queste informazioni possiamo affermare che per gli edifici residenziale privati è richiesto quanto segue.
Il requisito dell’adattabilità va così inteso:
“Gli edifici di nuova edificazione e le loro parti si considerano adattabili quando, tramite l’esecuzione differita nel tempo di lavori che non modificano né la struttura portante, né la rete degli impianti comuni, possono essere resi idonei, a costi contenuti, alle necessità delle persone con ridotta o impedita capacità motoria, garantendo il soddisfacimento dei requisiti previsti dalle norme relative alla accessibilità. La progettazione deve garantire l’obbiettivo che precede con una particolare considerazione sia del posizionamento e dimensionamento dei servizi ed ambienti limitrofi, dei disimpegni e delle porte sia della futura eventuale dotazione dei sistemi di sollevamento. A tale proposito quando all’interno di unità immobiliari a più livelli, per particolari conformazioni della scala non è possibile ipotizzare l’inserimento di un servoscala con piattaforma, deve essere previsto uno spazio idoneo per l’inserimento di una piattaforma elevatrice.” (art. 6.1 Interventi di nuova edificazione. DM 236/89).
Mentre per comprendere come progettare la visitabilità ci si deve riferire a queste indicazioni:
“Nelle unità immobiliari visitabili di edilizia residenziale, di cui all’art.3, deve essere consentito l’accesso, da parte di persona su sedia a ruote, alla zona di soggiorno o di pranzo, ad un servizio igienico e ai relativi percorsi di collegamento.
A tal fine si deve assicurare la rispondenza ai criteri di progettazione di cui ai punti 4.1.1, 4.1.6, 4.1.9, 4.2 e alle relative specifiche dimensionali e/o soluzioni tecniche. In particolare per i percorsi orizzontali si vedano anche le soluzioni tecniche di cui al punto 9.1.1.” (art 5.1 Residenza. DM 236/89).
Ma per sciogliere gli eventuali dubbi e spiegare quali parti delle unità residenziali vadano rese visitabili e quali accessibili ecco che interviene l’art. 3.5 del DM 236 che recita:
“Ogni unità immobiliare, qualunque sia la destinazione, deve essere adattabile per tutte le parti e componenti per le quali non è già richiesta l’accessibilità e/o la visitabilità, fatte salve le deroghe consentite dal presente decreto.”
Inoltre, per quanto riguarda l’accessibilità nelle parti comuni, questa la si ottiene “se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali” (art. 3.2, DM 236).
Un ultimo punto richiede ancora un chiarimento.
Nelle unità plurifamiliari con parti comuni ,e non più di tre livelli fuori terra, la norma richiede che le parti comuni siano tenute ai requisiti di accessibilità e adattabilità. Questo potrebbe far insorgere dei dubbi ma in realtà la cosa va considerata in questo modo. Il DM 236/89 non obbliga ad installare l’ascensore negli edifici con non più di tre livelli fuori terra, esso richiede che le parti comuni siano accessibili ma, per la parte che riguarda i collegamenti verticali, prevede l’adattabilità. Quindi si dovrà prevedere nel progetto la possibilità di installare un meccanismo di sollevamento che, successivamente, potrà rendere accessibili anche le unità immobiliari poste ai piani superiori. Ma ciò nulla toglie al fatto che tali unità, debbano essere internamente visitabili e adattabili.
Ecco il testo dell’articolo 3.2 che spiega:
“L’accessibilità deve essere garantita per quanto riguarda le parti comuni.
Negli edifici residenziali con non più di tre livelli fuori terra è consentita la deroga all’istallazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala, purché sia assicurata la possibilità della loro istallazione in un tempo successivo. L’ascensore va comunque istallato in tutti i casi in cui l’accesso alla più alta unità immobiliare è posto oltre il terzo livello, ivi compresi eventuali livelli interrati e/o porticati.”