Il principale strumento giuridico, impiegato dalla PA nella pianificazione urbanistica del territorio, è il Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC).
Si tratta di un atto di natura provvedimentale e a struttura complessa ineguale. Le disposizioni ivi contenute, da un lato, producono un immediato effetto conformativo delle proprietà interessate, ponendovi dei vincoli di inedificabilità, e, dall’altro lato, suddividono il contesto territoriale in aree omogenee, assegnando ad ognuna una certa destinazione urbanistica o modificandone la vocazione.
Le peculiarità dell’atto in parola involgono, altresì, il relativo regime di impugnazione, in ragione del concorso dei due soggetti pubblici preposti alla sua formazione: il Comune, in fase di adozione, e la Regione, nella successiva fase di approvazione.
La nozione di piano regolatore ed il relativo regime d’impugnazione costituiscono uno dei temi più complessi del diritto amministrativo, da inquadrare nell’ambito della più ampia tematica afferente alle modificazioni urbanistiche del territorio.
La pianificazione urbanistica si sostanzia in un’attività di programmazione, attraverso la quale l’Ente pubblico propone soluzioni di distribuzione degli insediamenti sul territorio, in armonia con le esigenze dei cittadini e con l’assetto economico-sociale, esistente e potenziale.
Sul piano strettamente giuridico, la predetta attività trae il suo abbrivio normativo negli artt. 2 e 5 Cost., dai quali, seppur a livello meramente programmatico, si desume l’obbligo per la PA di strutturare il territorio in senso conforme al suo assetto naturale e di favorire lo sviluppo delle autonomie locali.
Una disciplina unitaria ed organica è, invece, dettata dalla L. n. 1150/42, novellata nel ’68 con L. n.1187.
Le norme richiamate forniscono agli interpreti un modello di pianificazione a cascata, articolato su diversi strati e livelli, connotato da una rigida gerarchia degli strumenti impiegati e dalla indeterminatezza temporale degli stessi.
In tale contesto, lo strumento giuridico principale di cui la PA si serve, in ottemperanza ai suoi compiti di pianificazione, è indubbiamente il Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC).
Si tratta di uno strumento che permette all’Ente locale di proporre una migliore composizione urbanistica e la futura composizione del territorio comunale, operando un delicato bilanciamento con le condizioni ambientali e le esigenze della popolazione.
La disciplina di riferimento è espressa dall’art. 7 e ss della L. n. 1150/42 e contiene, a completamento di disposizioni generali di carattere programmatico, previsioni di localizzazione e di zonizzazione.
Le prime permettono di individuare, all’interno perimetro comunale, le aree da destinare all’edificazione di grandi opere pubbliche, di competenza statale o comunale.
In altre parole, le disposizioni di localizzazione definiscono la collocazione delle opere di urbanizzazione cd. primaria, come la rete delle vie di comunicazione stradali o ferroviarie ed il sistema di fognatura, e le opere di urbanizzazione cd. secondaria, id est le opere pubbliche di interesse collettivo e sociale, come scuole ed ospedali.
In ragione del loro contenuto, le predette disposizioni producono un immediato effetto conformativo delle proprietà interessate, ponendo vincoli di inedificabilità sui terreni dove insisteranno le opere programmate.
Viceversa, le previsioni di zonizzazione suddividono il contesto territoriale in aree omogenee ed assegnano ad ognuna di esse una determinata destinazione urbanistica o ne modificano la vocazione.
Il procedimento di formazione del PRG, delineato dagli art. 8 e ss della l. 1150/42, ed è diviso in due fasi: la prima, di competenza comunale, si conclude con l’adozione del piano, e la seconda, di competenza regionale, termina con la sua approvazione in funzione di controllo.
Questo peculiare iter procedimentale ha dato vita a vivaci disquisizioni che involgono tanto la struttura che la natura giuridica del PRGC.
A parere di un orientamento dottrinale risalente, il PRGC è un atto semplice, distinto in due fasi procedimentali spettanti a due autorità diverse.
La predetta ricostruzione non è, però, condivisa dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria.
I Giudici di Palazzo Spada avallano una qualificazione del PRGC quale atto complesso ineguale, al cui perfezionamento partecipano due soggetti pubblici diversi.
Questo convincimento trae giustificazione nella circostanza che i due atti, di adozione e di approvazione, sono produttivi di effetti giuridici autonomi e differenziati: dal primo discendono i cd. effetti di salvaguardia, stante il divieto di rilasciare permessi a costruire incompatibili con il PRGC in costanza di formazione, e dal secondo si delinea il definitivo nuovo assetto del territorio.
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Parimenti controversa risulta la natura giuridica dell’istituto, essendo qualificato ora in termini di atto normativo a carattere regolamentare, ora in termini di atto amministrativo a contenuto generale.
Viceversa, nessun dubbio sorge a proposito dei cd. piani particolareggiati, di cui all’art. 14 della L.U del ‘42, in ragione della pacifica qualificazione come di atti di mera attuazione e specificazione del PRGC.
Orbene, con riferimento ai PRGC, propendere per l’una o per l’altra soluzione provoca risvolti applicativi differenti di non poco conto in ordine al relativo regime impugnatorio.
In sostanza, riconoscere natura regolamentare allo strumento in questione pone delle strettoie ai privati che asseriscano di essere lesi dalle relative disposizioni, dovendo attendere – in ragione delle notorie caratteristiche di atto normativo a carattere regolamentare, ovvero l’astrattezza e la generalità – un atto che concretamente incida l’oggetto del proprio diritto di proprietà
Per tali ragioni, il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa non condivide tale assunto.
A parere del Consiglio di Stato, non è possibile trascurare, accanto a disposizioni generali di carattere programmatico, la presenza di previsioni di natura precettiva, direttamente lesive delle posizioni giuridiche dei soggetti destinatari.
Orbene, le previsioni che stabiliscono le aree destinate all’edificazione di opere pubbliche o che modificano e riducono la vocazione urbanistica pongono vincoli di inedificabilità su terreni individuati, determinati o determinabili e, di conseguenza, si rivolgono ed incidono negativamente sulla sfera dei titolari di diritti reali.
Pertanto, in ragione dell’agevole determinazione dei soggetti destinatari e l’immediata idoneità di tali previsioni, idonee ad incidere direttamente sulle posizioni giuridiche degli stessi, non sussistono pertanto ostacoli logico-giuridici per negarne la natura provvedimentale.
L’orientamento giurisprudenziale prevalente, infatti, anche in adesione alle spinte provenienti dalla migliore dottrina, propende verso una qualificazione del PRGC in termini di atto misto, riconoscendone una veste prevalentemente provvedimentale e, conseguentemente, ammettendone l’immediata impugnazione.
Sul punto, dottrina e giurisprudenza sono concordemente giunte a riconoscere ai cittadini, portatori di un interesse differenziato e qualificato, il diritto di immediata impugnazione dell’atto di adozione del PRG, attesa l’immediata lesività delle disposizioni di matrice precettiva in esso contenute.
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